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Quiet Quitting: è davvero la fine dell’engagement aziendale?

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Il Quiet Quitting, tradotto letteralmente come “abbandono silenzioso“, rappresenta una tendenza in crescita nel mondo del lavoro contemporaneo. Si manifesta quando i dipendenti decidono di limitarsi a svolgere le mansioni strettamente previste dal loro contratto, senza alcun impegno aggiuntivo o iniziativa personale. In altre parole, il lavoratore si presenta in ufficio, esegue il proprio compito e torna a casa, senza investire ulteriori energie o passione nel proprio ruolo.

Quiet Quitting: un segnale d’allarme

Non si tratta di un’improvvisa ondata di pigrizia o di una diminuzione dell’etica professionale, bensì di un sintomo rivelatore di problematiche più profonde all’interno delle organizzazioni. Il Quiet Quitting, in altre parole, non è la malattia, ma piuttosto un segnale d’allarme che indica un deterioramento del “contratto psicologico” tra l’azienda e i suoi dipendenti. Questo contratto, sebbene non scritto, è un elemento cruciale per il benessere e la produttività di qualsiasi organizzazione. Esso rappresenta l’insieme di aspettative reciproche tra datore di lavoro e lavoratore, andando oltre le clausole formali del contratto di assunzione. Il contratto psicologico include aspetti come la fiducia, il rispetto, le opportunità di crescita professionale, il riconoscimento del valore individuale e la percezione di un ambiente di lavoro equo e stimolante. Quando queste aspettative vengono disattese, i dipendenti possono sperimentare una profonda disillusione e demotivazione. Si sentono trascurati, non apprezzati e privi di prospettive future all’interno dell’azienda. Di conseguenza, riducono il loro impegno al minimo indispensabile, innescando un circolo vizioso che può danneggiare l’intera organizzazione.

In Italia, secondo la ricerca dell’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano, solamente il 17% dei dipendenti è pienamente ingaggiato e appena il 10% “sta bene” nelle tre dimensioni del lavoro: fisica, relazionale e mentale.

Il Quiet Quitting, quindi, non è una scelta consapevole di essere meno produttivi, ma una reazione a un ambiente di lavoro percepito come insoddisfacente e demotivante. I professionisti delle risorse umane, in questo contesto, si trovano di fronte a una sfida cruciale: comprendere le cause profonde di questo fenomeno e intervenire in modo proattivo per ripristinare un clima di fiducia e collaborazione.

Le cause alla radice del Quiet Quitting

Le ragioni che spingono i dipendenti ad abbracciare il Quiet Quitting sono molteplici e spesso interconnesse. Analizzarle attentamente è il primo passo per individuare le strategie più efficaci per contrastarlo.

Tra le cause più comuni, spicca la mancanza di riconoscimento e apprezzamento per il lavoro svolto. I dipendenti che non si sentono valorizzati per il loro contributo tendono a ridurre il loro impegno, percependo il loro lavoro come un mero mezzo per ottenere uno stipendio, piuttosto che come un’opportunità per realizzare il proprio potenziale e contribuire al successo dell’azienda.

Un’altra causa significativa del Quiet Quitting è l’assenza di opportunità di crescita e sviluppo professionale. La mancanza di prospettive di carriera all’interno dell’azienda può generare frustrazione nei dipendenti, che si sentono intrappolati in un ruolo senza futuro. Di conseguenza, perdono la motivazione e l’interesse per il proprio lavoro, limitandosi a svolgere le mansioni quotidiane senza alcun entusiasmo o ambizione.

Il Quiet Quitting può essere anche una conseguenza di carichi di lavoro eccessivi e di uno squilibrio tra vita professionale e vita privata. L’eccessivo stress e la difficoltà nel conciliare le esigenze del lavoro con quelle personali possono anche portare al burnout, ovvero a uno stato di esaurimento fisico ed emotivo che si manifesta con una profonda demotivazione e disinteresse per il lavoro.

La mancanza di chiarezza sui ruoli e sugli obiettivi può rappresentare un’ulteriore causa di Quiet Quitting. Quando i dipendenti non comprendono appieno le proprie responsabilità e non percepiscono come il loro lavoro contribuisca al raggiungimento degli obiettivi aziendali possono sentirsi disorientati e privi di motivazione. In questo contesto, è fondamentale che le aziende comunichino in modo chiaro e trasparente i ruoli e gli obiettivi di ciascun dipendente, fornendo un feedback regolare e costruttivo.

Infine, uno stile di leadership inadeguato può minare la motivazione e l’engagement dei dipendenti. Un management autoritario, poco comunicativo o incapace di fornire supporto e guida può creare un clima di sfiducia e risentimento, spingendo i dipendenti a disimpegnarsi gradualmente dal proprio lavoro.

Il ruolo strategico delle HR nella ricostruzione del contratto psicologico

Le risorse umane, in quanto custodi del benessere dei dipendenti e dell’efficacia organizzativa, svolgono un ruolo cruciale nel contrastare il Quiet Quitting e nel ripristinare un clima di fiducia e collaborazione all’interno dell’azienda. Non si tratta semplicemente di intervenire a posteriori per “tamponare” i sintomi del disimpegno, ma di agire in modo proattivo per prevenire l’insorgere del problema, intervenendo sulle cause profonde che lo alimentano.

Il primo passo consiste nel riconoscere l’importanza del contratto psicologico e nel comprenderne le dinamiche. Le risorse umane devono essere in grado di ascoltare attentamente le preoccupazioni dei dipendenti, di analizzare i feedback raccolti e di individuare le aree in cui le aspettative reciproche non vengono soddisfatte.

Una volta individuati i punti critici, è necessario ridisegnare il contratto psicologico, promuovendo una cultura di trasparenza, fiducia e comunicazione aperta. Le aziende devono essere chiare sulle aspettative nei confronti dei dipendenti, fornendo feedback regolari e costruttivi, e devono essere pronte ad ascoltare le loro esigenze e preoccupazioni. Un altro aspetto fondamentale è l’implementazione di programmi di riconoscimento e ricompensa che valorizzino il contributo dei dipendenti e ne incentivino l’impegno. Questi programmi possono includere riconoscimenti pubblici, bonus e incentivi basati sulla performance, opportunità di sviluppo professionale e percorsi di carriera personalizzati.

Le risorse umane devono anche promuovere un ambiente di lavoro sano e sostenibile, in cui i dipendenti si sentano supportati e valorizzati. Ciò significa incoraggiare il work-life balance, offrire supporto per la gestione dello stress, creare un ambiente di lavoro inclusivo e rispettoso, e promuovere una cultura del benessere fisico e mentale.

Infine, è essenziale formare i manager a una leadership efficace e inclusiva. I manager devono essere in grado di comunicare efficacemente, fornire feedback costruttivo, delegare responsabilmente, creare un clima di fiducia e collaborazione, e supportare i dipendenti nel raggiungimento dei loro obiettivi. Solo in questo modo è possibile creare un ambiente di lavoro in cui i dipendenti si sentano valorizzati, motivati e impegnati a dare il meglio di sé.

Ricostruire il futuro del lavoro: oltre il Quiet Quitting

Il Quiet Quitting non è un destino ineluttabile, ma piuttosto un’opportunità per le aziende di ripensare il proprio approccio alla gestione delle risorse umane e di costruire un futuro del lavoro più sostenibile e gratificante per tutti. Affrontare questo fenomeno richiede un cambio di mentalità, passando da un approccio centrato sul controllo e sulla performance a un approccio basato sulla fiducia, sul rispetto e sulla valorizzazione del potenziale umano. Le aziende che sapranno cogliere questa sfida saranno in grado di creare un ambiente di lavoro in cui i dipendenti si sentono valorizzati e motivati, in cui possano esprimere liberamente le proprie idee e in cui siano incentivati a dare il meglio di sé.

Il Quiet Quitting ci ricorda che il benessere dei dipendenti è strettamente legato al successo dell’azienda e che investire nel capitale umano rappresenta la migliore strategia per costruire un futuro del lavoro più prospero e sostenibile. In quest’ottica, risultano centrali iniziative di upskilling e reskilling. Le prime consentono di dare una marcia in più alle competenze attuali, mentre le seconde permettono di acquisirne di nuove, facilitando l’inserimento in ambiti professionali differenti. In entrambi i casi, si tratta di percorsi formativi che favoriscono la costruzione di carriere maggiormente allineate alle proprie aspirazioni.

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